La Struttura è deputata alla presa in carico e alla gestione dei pazienti affetti da patologie ematologiche; ad essa sono attribuite tutte le funzioni ed attiivtà clinico-assistenziali, dalla fase di diagnosi a quella di cura, terapia e follow up. Tali funzioni vengono svolte sia in regime di ricovero che ambulatoriale e MAC
Reparto di degenza: 0331 449306
Caposala di Reparto: 0331 449307
Fax: 0331 449185
Inf. Case Manager: 337-1288384 dalle 10 alle 12 dal lunedì a venerdì.
Direttore: alessandro.corso@asst-ovestmi.it
Caposala di Reparto: maria.panozzo@asst-ovestmi.it
Caposala Day Hospital: sergio.nobile@asst-ovestmi.it
L’UOC di Ematologia è costituita Dal Direttore, l’equipe medica, due infermiere case manager, il caposala del Reparto e del Day Hospital e lo staff infermieristico del Reparto e del Day Hospital
Direttore:
Dott. Alessandro Corso
Equipe Medica:
Dott.ssa F. Binda
Dott.ssa A. Citro
Dott.ssa P. Cozzi
Dott.ssa M. Draisci
Dott.ssa S. Franceschetti
Dott.ssa S. Marinoni
Dott. A. Nozza
Dott. N. Orofino
Dott.ssa F. Rezzonico
Dott.ssa V. B. Valli
Dott.ssa S. Agnoli
Infermiere case manager:
Inf. Meringolo Antonella, Inf. Randazzo Gaia
Caposala Reparto:
Inf. Maria Grazia Panozzo
Caposala Day Hospital:
Inf. Nobile Sergio
LEGNANO:
REPARTO DI EMATOLOGIA: AREA B, PIANO 3
DAY HOSPIAL MEDICO-ONCOLOGICO: AREA B, PIANO 1
AMBULATORIO: AREA A, PIANO 1, AMBULATORI MEDICI, AMBULATORIO 19 E AMBULATORIO 6
INFERMIERE CASE MANAGER: AREA B, PIANO 0, UFF. RISORSE UMANE (PARETE ARANCIONE)
FARMACIA (per il ritiro dei farmaci orali prescritti durante le visite): AREA C, PIANO 0
MAGENTA:
AMBULATORIO DI EMATOLOGIA PRESSO L’OSPEDALE DI MAGENTA: DAYHOSPITAL DI ONCOLOGIA, PIANO 7
COLLOQUI CON I MEDICI DI REPARTO:
I colloqui avvengono da lunedì a venerdì dalle 12.30 alle 13.30 previo appuntamento. Per prendere appuntamento contattare il numero 3371288384 da lunedì a venerdì dalle 10 alle 12.
ORARI DI ACCESSO AL REPARTO:
Dal 1/05/2023 le visite ai degenti avverranno con il seguente orario: 16.30-18.00
UN VISITATORE PER DEGENTE, L’USO DELLA MASCHERINA E’ OBBLIGATORIO
Qualsiasi deroga all’orario previsto è da concordarsi con il personale sanitario.
DIRETTORE:
Dott. Alessandro Corso
EQUIPE MEDICA:
Dott.ssa F. Binda
Dott.ssa A. Citro
Dott.ssa P. Cozzi
Dott.ssa M. Draisci
Dott.ssa S. Franceschetti
Dott.ssa S. Marinoni
Dott. A. Nozza
Dott. N. Orofino
Dott.ssa F. Rezzonico
Dott.ssa V. B. Valli
Dott.ssa S. Agnoli
Per comunicazioni o informazioni con i medici è possibile inviare una mail al seguente indirizzo: ematologiadh@asst-ovestmi.it, oppure contattare il seguente numero 337-1288384 dalle 10 alle 12 dal lunedì a venerdì.
Presso la nostra U.O.C. ci occupiamo della presa in carico e della gestione di pazienti affetti da patologie ematologiche.
Se ci sono dubbi o domande riguardanti le patologie oncoematologiche, oltre a confrontarsi con i medici in occasione delle visite, è possibile consultare il sito AIL dove è presente una spiegazione aggiornata dai medici dell’equipe delle principali patologie oncoematologiche.
Consigliamo inoltre di consultare i seguenti siti:
www.Ilmilelomamultiploetu.it (Per pazienti e familiari di pazienti affetti da mieloma multiplo)
www.aipit.com (Per pazienti e familiari di pazienti affetti da piastrinopenia autoimmune)
AD CURAM:
Da un’idea del reparto di Ematologia di Legnano, con il supporto di AIL Milano, nasce AD CURAM. AD CURAM è una soluzione pilota per la gestione dei pazienti ematologici e si inserisce all’interno del progetto OS.TE.LL.O-Ospedale e Territorio alleati nella gestione delle malattie oncoematologiche. AD CURAM ha l’obiettivo di reinventare il supporto telematico per i pazienti ematologici che possono trovare in un’unica piattaforma sia le risposte alle domande frequenti sia un supporto attivo alle sintomatologie di ogni giorno.
Di seguito il link per collegarsi al sito:
https://apptritel.herokuapp.com/patient-area
AD CURAM assiste i medici di base nella gestione dei pazienti fornendo indicazioni “guida” per il controllo delle sintomatologie oltre a garantire il contributo attivo di un’infermiera qualificata in ambito ematologico.
Di seguito il link per collegarsi al sito:
https://apptritel.herokuapp.com/home
Terzo Meeting Istituzionale “SIE Incontra i pazienti”, che si terrà in data Martedì 9 aprile 2024.
Il Meeting sarà in presenza a Bologna presso il Royal Hotel Carlton e trasmesso anche in diretta streaming.
Modalità di collegamento:
1. sulla home page del sito www.siematologia.it con possibilità di invio domande live tramite il pulsante Q&A;
2. su Facebook accedendo alla pagina di SIE-Società italiana di Ematologia utilizzando la chat della diretta Facebook.
Verranno selezionate le domande più pertinenti e interessanti per la discussione.
Vi preghiamo di effettuare l’iscrizione collegandosi al link: https://manage.ercongressi.it/event/subscription/288
SIE INCONTRA I PAZIENTI - 9 APRILE 2024
SINDROMI MIELODISPLASTICHE (MDS)
Rappresentano un insieme di malattie originate dalla progressiva perdita di capacità di sviluppo della linea cellulare mieloide. Le cellule staminali non sono più in grado di completare il loro processo maturativo e quindi si instaurano stati di anemia, piastrinopenia e granulocitopenia di gravità variabile.
Vengono suddivise in due gruppi: Sindromi Mielodisplastiche primitive o idiopatiche - se non hanno una causa nota all’origine della malattia; Sindromi Mielodisplastiche secondarie - se nella storia clinica del paziente sono state identificate delle possibili cause di attenzione. Fattori come l’esposizione al benzene, a prodotti chimici con potenzialità genotossica, al fumo, rappresentano dei rischi correlati alla malattia. Altro discorso riguarda l’esposizione a farmaci o radiazioni ionizzanti. In questi casi infatti la malattia può insorgere a seguito di trattamenti chemio o radioterapici, anche a distanza di anni.
Nonostante queste indicazioni di attenzione non è però ancora possibile definire con certezza quale sia la causa della malattia, che sembra essere causata da un progressivo accumulo di mutazioni e alterazioni genetiche e che suggerisce come il tempo di esposizione agli agenti sopra menzionati sia un fattore chiave. Dopo la trasformazione la proliferazione di un clone neoplastico andrà a sostituire il tessuto midollare soppiantando, con una tempistica variabile, l’attività delle normali cellule emopoietiche. In una porzione rilevante di casi (30-40%) la malattia evolverà ulteriormente e si trasformerà in una Leucemia Mieloide Acuta. Secondo i criteri della World Health Organization - WHO
Le SMD sono suddivise in 5 gruppi di malattia, secondo la classificazione FAB - French-American-British e su 8 gruppi secondo
La complessità delle SMD si riflette sul decorso clinico che è contraddistinto da un progressivo aggravamento dell’anemia, con segni di granulocitopenia e piastrinopenia sempre più frequenti nel corso del tempo.
In generale il decorso può essere distinto in quattro gruppi: cronico protratto - la malattia rimane stabile per lungo tempo, senza segni di peggioramento o evoluzione dei sintomi; cronico progressivo - l’andamento è comunque orientato alla lunga durata, ma con un lento peggioramento della sintomatologia e dello stato clinico della malattia; subacuto - caratterizzato da un progressivo peggioramento della malattia in un arco di tempo relativamente breve. L’evoluzione in LMA è molto frequente; acuto - la malattia peggiora rapidamente, la trasformazione in LMA è praticamente certa ed avviene in tempi brevi.
A causa delle numerose variabili che caratterizzano la malattia, non è semplice prevedere il tipo di decorso clinico. Grazie ad accurate analisi statistiche sono stati sviluppati scale di valutazione del rischio che prendono in considerazione un gran numero di parametri clinico-biologici ognuno con il proprio valore prognostico.
La strategia terapeutica viene decisa essenzialmente sulla base dell’età del paziente, del suo stato di salute generale, della presenza di concomitanti malattie e in relazione al rischio prognostico determinato dalle scale di valutazione R-IPSS o WPSS. Sulla base di queste valutazioni le terapie possono variare da un’osservazione periodica del paziente, fino alla chemioterapia intensiva ed al trapianto di midollo.
LEUCEMIA ACUTA
La Leucemia è un tumore del sangue causato dalla proliferazione incontrollata di cellule staminali, cioè cellule primarie e immature che sviluppandosi daranno poi vita a: globuli bianchi, globuli rossi e piastrine. Le cellule staminali del sangue si trovano nel midollo osseo delle ossa piatte (come bacino, sterno, cranio, coste, vertebre, scapole) e delle ossa lunghe (come femore e omero) e possono seguire due linee di sviluppo: mieloide o linfoide. In uno stato normale le cellule della linea mieloide daranno origine a gran parte dei globuli bianchi e alle piastrine, mentre le cellule della linea linfoide diventeranno linfociti.
Figura 1: La maturazione delle cellule staminali emopoietiche
Può però accadere che una delle cellule staminali interrompa precocemente il suo processo di maturazione. Inoltre può anche avvenire che la cellula immatura acquisisca la capacità di replicarsi senza limite e diventi resistente ai meccanismi di morte cellulare programmata, una modalità di controllo intrinseco presente nelle cellule normali. Se tutto questo avviene i cloni, copie identiche della cellula originale, invaderanno rapidamente non solo il sangue ma anche linfonodi, milza e fegato, avrà così origine una Leucemia. Sulla base della velocità di progressione della malattia si distinguono le forme Acute (evoluzione con tempistiche brevi o brevissime) dalle forme Croniche (evoluzione più lenta).
Le leucemie acute si distinguono in mieloidi e linfatiche.
LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA (LMA)
La Leucemia Mieloide Acuta (LMA) è una malattia caratterizzata dalla proliferazione di cloni di cellule staminali ematopoietiche che non hanno completato il processo di maturazione. Queste cellule (blasti) lentamente rimpiazzano il normale tessuto ematopoietico nel midollo, alterando la produzione delle altre cellule (globuli rossi, piastrine e granulociti), per poi entrare nel circolo sanguigno ed infiltrarsi in altri organi.
È inoltre possibile che la malattia si sviluppi a distanza di qualche anno da trattamenti chemioterapici o che sia il frutto dell’evoluzione di una precedente Sindrome Mielodisplastica. Dal punto di vista molecolare la malattia è molto complessa e caratterizzata da numerosi danni genetici che cooperano per lo sviluppo della patologia. Nonostante tutto non è stato ancora identificato un unico fattore come responsabile diretto della LMA.
La LMA ha un’incidenza stimata in circa 3-4 casi per 100.000 persone per anno ma, essendo una malattia tipica dell’età avanzata (età media 60 anni), può arrivare anche a circa 10 casi per 100.000 persone per anno nella popolazione al di sopra dei 65 anni (70% dei casi totali) (figura 2). La LAM si può presentare anche in età pediatrica, ma è decisiva la presenza di difetti genetici come, ad esempio, la sindrome di Down che aumenta il rischio di sviluppare la malattia di oltre 10 volte.
La diagnosi viene effettuata a seguito di specifiche analisi e raramente la malattia viene identificata nel corso di prelievi di routine perché, spesso, il numero di globuli bianchi non varia in modo tale da destare allarme. I sintomi più comuni, dovuti all’espansione del numero di blasti nel midollo, sono debolezza, difficoltà respiratorie sotto sforzo e la comparsa di ecchimosi, piccole emorragie e febbre. La diagnosi si basa sull’integrazione dei risultati dati dalle indagini di tipo morfologico, citochimico, immunofenotipico, citogenetico e molecolare. Secondo i criteri della World Health Organization (WHO), la diagnosi di LMA viene effettuata quando la percentuale di blasti supera il 5% in un campione di sangue periferico (20% in un campione di midollo osseo). Le numerose mutazioni citogenetiche e molecolari incidono sulla prognosi in vario modo, sia positivo che negativo. Sulla base della presenza delle varie alterazioni genetiche i pazienti vengono classificati in a basso, intermedio e alto rischio.
Figura 2: Classi di rischio LMA secondo caratteristiche citogenetiche e molecolari
La terapia si svolge con uno schema che prevede un’induzione, mirata all’ottenimento della remissione di malattia, seguita dalla terapia di consolidamento e mantenimento. Ad alcune categorie di pazienti, in relazione alla risposta clinica alle terapie, viene proposto il trapianto di cellule staminali. La scelta della strategia terapeutica viene basata sul rischio genetico e sulla fitness del paziente che tiene in considerazione non solo l'età del paziente ma anche il suo stato di salute generale. I miglioramenti ottenuti negli ultimi anni sono soprattutto dovuti al perfezionamento delle terapie di supporto, utili per prevenire e curare le complicanze causate dalla malattia e degli stessi trattamenti chemioterapici.
Dopo tanti anni in cui si è avuta a disposizione solo la chemioterapia lo scenario negli ultimi 5 anni è cambiato considerevolmente. Sono in fase più o meno avanzata di studio diversi tipologie di farmaci “intelligenti”, cioè diretti verso uno specifico bersaglio molecolare (inibitori di FLT3 o IDH). Alcuni di questi sono già disponibili mentre per altri si attendono i risultati delle ricerche in corso.
LEUCEMIA LINFATICA ACUTA (LLA)
E’ una malattia caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di una cellula staminale che non ha completato il processo di sviluppo e maturazione di una cellula della linea linfoide. Questo può avvenire a seguito di lesioni genetiche multiple che portano le cellule a perdere una serie di funzioni, compreso il controllo replicativo, favorendo così la formazione di cloni cellulari (blasti) in grado di proliferare senza controllo, fino alla quasi totale sostituzione della normale popolazione cellulare. E’ una malattia sistemica per definizione e si sviluppa per cause non ancora definite, ma per innescarne lo sviluppo sembra essere fondamentale una componente multifattoriale. Certamente hanno rilievo le numerose lesioni genetiche che si originano nel corso dello sviluppo delle cellule ma queste, da sole, non sembrano essere sufficienti per dare origine ad una leucemia. Dal punto di vista ambientale è accertata una relazione di causalità diretta tra l’esposizione ad alte dosi di radiazioni e/o a sostanze chimiche tossiche, come il benzene, e l’insorgenza della malattia. Probabilmente, quindi, la LLA si sviluppa per una combinazione di effetti derivanti da cause ambientali e genetiche.
La LAL è una malattia peculiare dell’età pediatrica e rappresenta il tumore più frequente nei bambini, con una stima di 3-4 casi ogni 100.000 persone al di sotto dei 18 anni di età. L’incidenza presenta un picco entro i 10 anni di età, per calare nell’età adulta ed aumentare un poco di nuovo al di sopra dei 50 anni, rimanendo comunque una malattia rara.
La malattia può manifestarsi in modo clinicamente evidente e acuto oppure in maniera subdola. Tipici sintomi rilevabili alla diagnosi sono quelli dovuti alla neutropenia, trombocitopenia e anemia. Per questo motivo la comparsa di infezioni ricorrenti, episodi emorragici o astenia, tachicardia e pallore dovrebbero indirizzare la persona verso un controllo ematologico. L’analisi morfologica delle cellule, cioè l’osservazione al microscopio dello striscio di sangue (periferico e/o midollare), è il primo passo della procedura diagnostica. L’obiettivo dell’analisi è quello di rilevare la presenza di cellule linfoidi immature. Si parla di LLA se queste sono presenti in percentuali maggiori del 20% rispetto al totale.L’analisi dell’immunofenotipo, che consente di evidenziare alcune caratteristiche peculiari della cellula leucemica, si arriva a definire il fenotipo B o T della cellula, presenti con una frequenza pari a 86% e 14% rispettivamente. È anche possibile che non si riesca a definire il fenotipo delle cellule e in questi casi si parla di leucemie «ibride» o «bifenotipiche». L’utilizzo della biologia molecolare è di fondamentale importanza per la diagnosi e affianca le analisi citogenetiche. Una tipica traslocazione è quella nota come cromosoma Philadelphia in cui dallo scambio di materiale genetico tra il cromosoma 9 ed il 22, nasce una nuova proteina funzionale (BCR-ABL), causa principale della malattia. Quando questa mutazione è presente la malattia si definisce Philadelphia positiva (Ph+), negativa quando non viene rilevata (Ph-). Il profilo di rischio del paziente viene calcolato sulla base di valori come l’età, il numero di globuli bianchi, la presenza di alcune mutazioni citogenetico/molecolari, il coinvolgimento di altri organi ed il tempo necessario per raggiungere la Remissione Completa (RC) della malattia.
Il trattamento di una LLA richiede tipicamente un trattamento suddiviso in più fasi: induzione, consolidamento e mantenimento. In generale l’obiettivo della prima fase (induzione) è quello di eliminare le cellule leucemiche con un trattamento intensivo seguito poi da un trattamento di consolidamento al raggiungimento della remissione di malattia e uno finale di mantenimento per evitare la recidiva. Su questo schema di base si adottano diverse strategie terapeutiche che sono perlopiù dettate dall’età del paziente e dal profilo molecolare della malattia. In casi più estremi viene valutato anche il trapianto di cellule staminali.
Per alcune specifiche forme di malattia, come la Leucemia Ph+ accennata nel paragrafo della diagnosi, esistono farmaci di ultima generazione, mirati a contrastare con precisione gli effetti dello specifico danno genetico. In altri casi invece sono allo studio nuove terapie che mirano a contrastare la malattia agendo, con diverse forme, su importanti caratteristiche biologiche della cellula (trasduzione del segnale, ciclo e mobilità cellulare, ecc.). Oltre a queste nuove frontiere della ricerca esistono anche miglioramenti dati dall’evoluzione di farmaci già normalmente in uso che, grazie a nuove formulazioni, aumentano le proprietà farmacologiche e di tollerabilità. Recentemente sono state approvate da AIFA come rimborsabili le CAR-T cioè i linfociti educati contro le cellule tumorali. Come mostrato nella figura, le cellule T vengono prelevate e riprogrammate in laboratorio per creare cellule T geneticamente modificate e dotate di un recettore in grado di riconoscere e combattere le cellule tumorali.
Figura 3: CART cells
Le sindromi mieloproliferative (SMP) croniche sono malattie primitive midollari caratterizzate da proliferazione anomala e patologica delle cellule del midollo osseo e si manifestano principalmente con aumento dei globuli bianchi, globuli rossi (e conseguente incremento del valore di emoglobina) e piastrine. Tali patologie possono causare complicanze trombotiche/emorragiche.
In base alla presenza della mutazione del cromosoma Philadelphia si distinguono:
-La leucemia mieloide cronica (LMC) caratterizzata dalla mutazione del cromosoma Philadelphia
-Le sindromi mieloproliferative Ph negative: le principali malattie sono la policitemia vera (PV), la trombocitemia essenziale (TE) e la mielofibrosi primaria (P-MF).
Figura 1: Cromosoma Ph: Traslocazione 9;22, formazione della proteina BCR-ABL
La leucemia mieloide cronica (LMC) è un disordine mieloproliferativo cronico che colpisce la cellula staminale emopoietica. E’ caratterizzata da incremento di globuli bianchi (leucocitosi) nel sangue periferico, a volte, associata alla presenza di celluleimmature (promielociti, mielociti e metamielociti) e all’incremento del numero di piastrine. I pazienti alla diagnosi possono presentare segni e sintomi di incremento del diametro splenico (splenomegalia, con dolore/sensazione di ingombro al fianco sinistro e senso di ripienezza precoce dopo i pasti) Ha un andamento multifasico. La malattia generalmente si presenta in fase cronica, tipicamente asintomatica, che poi evolve in una fase intermedia definita accelerata, che si distingue per la progressiva perdita della capacità di crescita e maturazione delle cellule midollari. La fase successiva, denominata acuta o crisi blastica, presenta il tipico blocco maturativo della leucemia acuta. Ogni fase può avere tempi di sviluppo variabili e non definibili a priori. La LMC è una malattia caratterizzata da un tipico danno cromosomico (cromosoma Philadephia o Ph+) che si origina per il trasferimento biunivoco di due frammenti di cromosoma. Una parte del cromosoma 9 e del cromosoma 22 “traslocano” invertendo la loro posizione [t(9;22)]. Il problema è che questa inversione codifica per una proteina (BCR/ABL) le cui attività sono responsabili dell’insorgenza della malattia. Nelle cellule che esprimono la proteina BCR/ABL diversi meccanismi cellulari sono modificati e le cellule si moltiplicano senza controllo. Non sono invece ancora chiari i meccanismi che portano all’evoluzione della malattia. Una possibile spiegazione è data dall’accumulo di numerose lesioni genetiche che, nel complesso, sono poi responsabili dell’evoluzione nella fase blastica. La malattia colpisce circa 2 persone su 100.000 ogni anno, particolarmente tra i 40-50 anni di età e con una prevalenza per gli uomini. La diagnosi viene posta con un prelievo di sangue, dopo riscontro della mutazione BCR-ABL tramite tecniche molecolari. L’identificazione del marcatore di malattia in tutte le cellule neoplastiche ha rappresentato il punto di partenza di una serie di ricerche che hanno portato alla realizzazione di farmaci ad azione altamente specifica, gli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI) capaci di neutralizzare in maniera specifica l’oncoproteina BCR-ABL bloccando così la proliferazione cellulare. Il primo di questi farmaci, l’imatinib, ha rivoluzionato il trattamento di questa patologia, migliorando la sopravvivenza globale dei pazienti e riducendo drasticamente la progressione della malattia alla fase blastica, modificando così completamente la prognosi dei pazienti affetti da LMC. E’ stato successivamente seguito da inibitori di seconda (dasatinib, nilotinb e bosutinib) e terza generazione (ponatinib) con profili di efficacia e tollerabilità differenti. Il farmaco proposto alla diagnosi viene valutato dal medico in base all’età e alle comorbidità del paziente che successivamente sarà sottoposto a stretto monitoraggio per valutare la risposta al trattamento in corso, la necessità di un cambio terapeutico o la possibilità di discontinuare il trattamento qualora raggiungesse una risposta profonda mantenuta per alcuni anni.
Le principali sindromi mieloproliferative Ph negative sono la policitemia vera (PV), la trombocitemia essenziale (TE) e la mielofibrosi primaria (P-MF). Questa patologie sono caratterizzate spesso da sintomi da iperviscosità (cefalea, alterazioni della vista o dell’udito), splenomegalia. Sono patologie croniche caratterizzate da una propensione alla trasformazione in mielofibrosi secondaria (MF) e leucemia acuta (LA). Dal 2005 in poi, sono state descritte più di 20 mutazioni e le più frequenti sono la mutazione di JAK2V617F, della Calreticulina (CALR) e di MPL. La terapia e la prognosi variano a seconda del tipo di patologia. L’obiettivo terapeutico spesso è mirato a ridurre il rischio trombotico associato a tali patologie e a contenere i sintomi associati.
Figura 2: La mielofibrosi
Figura 3: Sintomi da iperviscosità associati
La LLC è una malattia dovuta aduna eccessiva produzione di linfociti, una categoria di globuli bianchi delsangue. Questo fa sì che il numero totale dei globuli bianchi, denominati ancheleucociti, tenda ad aumentare nel sangue. Questa forma di leucemia è denominata“cronica” in quanto solitamente si manifesta con una certa lentezza e lecellule patologiche sono cellule mature del sangue. In molti casi l’aumento deilinfociti della LLC richiede anche anni. I linfociti possono accumularsi nonsolo nel sangue, ma anche nei linfonodi (ghiandole linfatiche), nella milza enel midollo osseo dove origina la malattia. Quindi, per valutare quanto èestesa questa forma di leucemia va considerato non solo il numero dei linfocitinel sangue, ma anche la grandezza dei linfonodi, della milza e se vi è unaridotta produzione di globuli rossi e di piastrine per un effetto di ‘disturbo’della LLC sulle fisiologiche attività del midollo osseo, la sede presso cui siformano/nascono le cellule del sangue.
Persone affette dalla stessamalattia, la LLC, possono avere andamenti clinici molto diversi. In alcunicasi, la LLC può essere di entità molto modesta e mostrarsi stabile nel tempo.In altri casi invece la malattia può crescere più rapidamente. La causa dellaLLC non è ben chiara, è noto che alcune alterazioni genetiche che determinanoalterazioni dei meccanismi di proliferazione cellulare, siano coinvolti nellapatogenesi di questa malattia. Venendo a mancare un controllo efficace sullaloro produzione e sopravvivenza, il numero dei linfociti tende a crescere.L’entità della malattia e la velocità con cuicresce dipendono da quali e quanti meccanismi di regolazione sono compromessi.L’identificazione delle caratteristiche genetiche è utile nei pazienti che richiedonouna cura anche per indirizzare la scelta dei farmaci da impiegare.
La LLC è la forma di leucemia piùfrequentemente osservata nei paesi occidentali dove rappresenta circa il 25-30%di tutte le leucemie dell’adulto, mentre è molto più rara nei paesi asiatici.Questa forma di leucemia interessa soprattutto i soggetti di sesso maschile ele persone meno giovani con una età di circa 70 anni o più alla diagnosi.Tuttavia, la LLC è anche osservata in soggetti più giovani, ma non esiste inetà pediatrica. Circa il 10% delle persone che hanno una LLC ha unapredisposizione familiare, ovvero nella stessa famiglia altri consanguineipossono avere la stessa forma di leucemia o una malattia del sangue simile.
La maggior parte delle personecon LLC non ha alcun sintomo e si accorge di questa malattia solo nel corso dianalisi di controllo che rivelano un aumento dei globuli bianchi. La malattiaviene quindi spesso diagnosticata in modo del tutto casuale, in persone chestanno bene e che hanno eseguito delle analisi del sangue per altri motivi.Nelle persone che hanno sviluppato una malattia più attiva, la LLC puòmanifestarsi con un aumento della grandezza dei linfonodi, che diventanopalpabili, talvolta in più sedi (collo, ascelle, inguine, ecc.). I linfonodi aumentatidi volume in sedi “profonde”, come quelli del torace e dell’addome, sonoidentificabili solo con esami ecografici e radiografici. Molto raramente,possono esservi alcuni sintomi come il dimagramento e la sudorazione notturnache si osservano solitamente in altre malattie come i linfomi. In alcuni casi,la LLC viene diagnosticata in persone che hanno una infezione.
Il decorso della LLC è moltovariabile da persona a persona. Alcuni hanno una malattia molto stabile che nonrichiede alcun trattamento o lo richiede solo dopo anni. Mentre in alcuni casile cure vanno iniziate sin dalla diagnosi. I criteri di trattamento sono:
1. Progressiva citopenia (anemiae/o piastrinopenia) da infiltrazione midollare di malattia
2. Splenomegalia massiva (almeno6 cm dal margine costale) o progressiva o sintomatica
3. Massive linfoadenopatie(almeno 10 cm di diametro massimo) o adenopatie progressive o sintomatiche
4. Linfocitosi progressiva con unincremento dei linfociti > 50% in due mesi o un raddoppiamento dei linfociti(LTD) in un tempo inferiore ai 6 mesi in pazienti con una conta linfocitariainiziale > 30.000/μl.
5. Anemia o piastrinopeniaautoimmune non responsive al trattamento steroideo o ad altre
terapie standard
6. Coinvolgimento extranodalesintomatico o funzionale (cute, rene, polmone, colonna)
7. Sintomi sistemici definitidalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
▪ calo ponderale ≥10% nei 6 mesiprecedenti;
▪ ECOG PS >2;
▪ febbre per più di 2 settimanesenza evidenza di infezione
▪ sudorazioni notturne per più diun mese senza evidenza di infezioni.
I CHEMIOTERAPICI
I chemioterapici sono medicineche bloccano la riproduzione delle cellule malate. Questi farmaci possonoessere somministrati per via orale (clorambucile, ciclofosfamide, fludarabina)o endovenosa (ciclofosfamide, fludarabina, bendamustina) e sono oggisolitamente impiegati in associazione con gli anticorpi monoclonali.
ANTICORPI MONOCLONALI
Gli anticorpi monoclonali sonoproteine anticorpali che riconoscono e “lisano” i linfociti della LLC. Quellipiù largamente impiegati nella LLC sono il rituximab, l’ofatumumab el’obinutuzumab (diretti verso l’antigene CD20). Le prime somministrazioni deglianticorpi monoclonali possono essere seguite da reazioni “allergiche” chesolitamente si attenuano o scompaiono con le somministrazioni successive. Perprevenire le reazioni infusionali agli anticorpi monoclonali vengonosomministrati alcuni farmaci (“premedicazione”: cortisonici, anti-istaminici eparacetamolo).
LA CHEMIOIMMUNOTERAPIA
Risultati terapeutici migliorisono ottenuti quando i farmaci chemioterapici sono sommministrati inassociazione con anticorpi monoclonali. Questo tipo di terapia – dettachemioimmunoterapia – è quella frequentemente considerata come primo approccioterapeutico. Vi sono diverse combinazioni chemioimmunoterapiche. Quelle piùfrequentemente impiegate sono denominate FCR (fludarabina, ciclofosfamide erituximab), BR (bendamustine e rituximab) e clorambucile (leukeran) associatoad un anticorpo monoclonale (rituximab, ofatumumab, obinutuzumab). L’età e lecondizioni generali della persona affetta da LLC orientano la scelta per iltipo di chemioterapia più adatto da somministrare in associazione ad unanticorpo monoclonale.
I FARMACI “BIOLOGICI”
Recentemente, sono statiintrodotti tra le cure della LLC alcuni farmaci “biologici”, orali: ibrutinib,idelalisib, venetoclax. Si tratta di agenti che interferiscono sui meccanismiresponsabili della crescita e sopravvivenza delle cellule leucemiche. Con l’introduzionedi questi nuovi agenti la cura della LLC sta diventando sempre più diretta inmodo specifico verso le cellule di questa leucemia, in altre parole, più“biologica”. Questi agenti possono essere efficaci dando risposte moltodurature anche in forme di LLC che progrediscono dopo o in corso dichemioimmunoterapia o che hanno caratteristiche biologiche che non rendonoappropriato un trattamento chemioimmunoterapico.
IL TRAPIANTO ALLOGENICO DICELLULE STAMINALI
Attualmente, l’unico approccioterapeutico potenzialmente in grado realmente di eradicare e quindi “guarire”la LLC è il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Lafattibilità di questo approccio terapeutico è limitata da diversi fattori.Innanzitutto, la LLC è una forma di leucemia che interessa le persone menogiovani che hanno un’età non adeguata a tollerare i trattamenti che sonoimpiegati nella procedura trapiantologica. Inoltre, su questa procedura gravanoancora complicazioni che possono essere più pronunciate nel soggetto anziano.
Infine, deve esservi la disponibilità di un donatore compatibile. Per questimotivi, il trapianto allogenico di cellule staminali viene oggi limitato aipazienti più giovani che hanno opzioni terapeutiche a lungo termine limitate ecaratteristiche di malattia molto sfavorevoli.
Le precauzioni nel corso dellaterapia
E’ importante che le possibilicomplicazioni dei farmaci siano conosciute perché possano essere gestite intempi e modi appropriati.
Le cure possono avere effetti collaterali di diverso tipo in rapporto aidiversi programmi terapeutici. Tuttavia, alcuni effetti collaterali sono comunia farmaci di diverso tipo. Tra questi, la riduzione delle cellule del sangue ele infezioni.
A seguito del trattamento è possibile una riduzione del numero delle celluledel sangue perché molti farmaci riducono l’attività del midollo osseo. Per talemotivo, nel corso dei trattamenti viene controllato frequentemente l’emocromo esono intraprese tutte le misure necessarie per correggere l’eventuale comparsadella riduzione dei globuli rossi, piastrine e granulociti. In corso di terapiaè da tener presente un rischio aumentato di infezioni, anche gravi. In caso difebbre o di infezione sono importanti alcuni accertamenti (esami del sangue,esami radiografici) perché possa essere identificata una eventuale infezione esomministrata la terapia antibiotica più appropriata.
Nel caso di una riduzione importante dei granulociti viene solitamenteprescritto un prodotto denominato “fattore stimolante la crescita dei granulociti”.
E’ importante che l’alimentazione sia adeguata e non si associ ad un aumentatorischio di infezioni gastroenteriche. Conviene quindi evitare gli alimenti chepiù facilmente possono essere soggetti a contaminazione batterica (carni epesce crudo, formaggi freschi artigianali, frutta e vegetali non adeguatamentepuliti, cibi non ben conservati). Durante le prime fasi del trattamento puòesservi una rapida distruzione delle cellule malate ed è importante bere moltoper “aiutare” i reni nella loro attività.
LE COMPLICAZIONI IN CORSO DI LLC
LE INFEZIONI
I pazienti con LLC, soprattuttose hanno già eseguito molti trattamenti, possono presentare difese immunitariemeno efficaci. La maggiore vulnerabilità alle infezioni può essere piùaccentuata se si associa anche alla riduzione dei granulociti e degli anticorpiindotta dalle cure. Tra le infezioni più frequenti vanno ricordate quellepolmonari, le infezioni virali erpetiche, la varicella, l’herpesvaricella-zoster (fuoco di S. Antonio). La vaccinazione contro lo pneumococco,il germe frequentemente in causa nelle polmoniti, e quella stagionaleanti-influenzale possono essere utili nel ridurre il rischio infettivo.
ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE
La minore competenza immunitariapuò condizionare, specie in pazienti con malattia più avanzata, la comparsa didisordini autoimmuni, in particolare, la comparsa di un’anemia associata aittero (colore giallastro della cute) dovuta alla presenza di anticorpipatologici diretti contro i propri globuli rossi.
ALTRI TUMORI
Le persone che hanno una LLCpossono avere difese immunitarie che li rendono un po’ più fragili anche per losviluppo di altri tumori. E’ importante quindi evitare fattori di rischioaggiuntivi quali il fumo e che tutti gli esami necessari per una adeguataprevenzione siano eseguiti periodicamente (visite ginecologiche, Pap test,ecografia mammaria, mammografia, PSA, visita urologica, ecc).
LA SINDROME DI RICHTER
La sindrome di Richter è unacomplicazione rara che interessa persone con malattia solitamente avanzata esottoposta a molteplici trattamenti. Questa condizione è dovuta all’emergenzadi una malattia più grave. Si viene a sviluppare un linfoma, nella maggiorparte dei casi dai linfociti stessi della LLC, che acquisiscono caratteristichedi maggiore aggressività. La sindrome di Richter richiede un trattamentodiverso da quello della LLC. E’ quindi importante che la sindrome di Richtersia riconosciuta e trattata appropriatamente. Qualora vi è il sospetto dellacomparsa di una sindrome di Richter sono richieste indagini radiologiche (TACPET) e la biopsia di un linfonodo e del midollo osseo.
Le gammopatie monoclonali sono una famiglia di condizioni caratterizzate dalla presenza di una componente monoclonale cioè dalla presenza di una immunoglobulina (proteina) nel sangue o nelle urine prodotta da una popolazione clonale (cioè in cui le cellule sono tutte uguali) presente nel midollo osseo. La proteina è di solito composta da due parti, due catene pesanti e due leggere ma, più raramente può essere presente la sola catena leggera.
Figura 1:la componente monoclonale, costituita da due catene pesanti e due leggere
Le più frequenti condizioni riscontrate sono le gammopatie di incerto significato (MGUS), i mielomi asintomatici (SMM) o i mielomi sintomatici .
Le MGUS sono le gammopatie più frequenti. Si tratta di condizioni pre-maligne caratterizzate da componenti monoclonali di piccola entità e in assenza di sintomi clinici e con un basso rischio evolutivo verso una malattia conclamata (1%/anno). Da un punto di vista epidemiologico l’incidenza aumenta con l’età (≥ 50 aa: ~ 3.5% ;≥70 aa: 5.7%;≥85 aa:7.5- 9 %), è 2-3 volte superiore nella popolazione di razza nera e Africana ; minore nei giapponesi e nei messicani, è maggiore nel sesso maschile ( M vs F =4 % vs 2.7%) ed è aumentata quando c’è la presenza in famiglia di casi simili con un rischio 2-3.3 volte superiore. Non si conoscono le cause ed è stata dimostrata una debole correlazione con pesticidi, radiazioni e obesità.
Il Mieloma è un tumore del sangue che coinvolge le cellule deputate alla produzione di anticorpi o immunoglobuline (proteine presenti nel sangue) chiamate plasmacellule che, fisiologicamente, risiedono nel midollo osseo. Il midollo osseo è l’organo predisposto alla produzione delle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) e si trova dentro le ossa (vertebre, coste, bacino, femori, etc.). Da un punto di vista classificativo il mieloma può essere distinto in asintomatico (SMM) o sintomatico a seconda della presenza dei sintomi codificati come caratteristici della malattia e contrassegnati con l’acronimo CRAB.
Figura 2:Criteri di trattamento del Mieloma Multiplo sintomatico
Il mieloma asintomatico pur essendo già codificato come malattia, in assenza dei CRAB e di altri nuovi parametri di laboratorio (SLiM CRAB), non richiede una terapia specifica in quanto ad oggi non sono stati dimostrati reali vantaggi nell’intraprendere precocemente un trattamento.
Le plasmacellule nella maggior parte dei casi producono una proteina completa o parziale (mieloma secernente) ma in una piccola percentuale (intorno al 2-3%) non producono nessuna proteina (mieloma non secernente). L’esame di laboratorio da cui più facilmente la malattia può essere scoperta è l’elettroforesi che si presenta come illustrato nella figura 5 a seconda che la proteina prodotta sia completa o sia rappresentata solo dalla catena leggera.
Da un punto di vista epidemiologico il mielomarappresental’1,2% di tutti i tumori eil 13% delle neoplasie ematologiche con un’incidenza media ogni anno di 9,5casi ogni 100.000 uomini e 8,1 ogni 100.000 donne. E’ una patologia dell’etàavanzata (età mediana alla diagnosi 70 anni) con un’incidenza nel complessostabile ma una prevalenza in aumento considerato l’allungamento della vita.
Il mieloma multiplo può manifestarsi consintomi eterogenei. In un terzo dei casi il riscontro è occasionale attraversol’esecuzione dell’elettroforesi delle sieroproteine in corso di esami diroutine. Quando il mieloma è sintomatico, nel 50% si presenta con unasintomatologia dolorosa ossea, nel 10-20% con un’insufficienza renale. Alcunisintomi dipendono dalle alterazioni che la malattia provoca direttamente almidollo osseo per sostituzione della normale emopoiesi, altri dalle alterazioniche l’accumulo della componente monoclonale determina sulla normalecircolazione del sangue, altri ancora dal danno che le sostanze prodotte dalleplasmacellule producono alle strutture ossee. Nella figura sono riassunti i principali sintomi delmieloma.
Figura 4:I sintomi del Mieloma Multiplo:le lesioni litiche, la precipitazione delle catene leggere a livello del rene,l’infiltrato midollare di plasmacellule
Da un punto di vista terapeutico lepossibilità di cura di questa malattia sono molto migliorate negli ultimi 15anni passando da una situazione in cui la disponibilità di farmaci efficaci eramolto scarsa a una situazione odierna con molteplici nuovi farmaci «target» enuove combinazioni.
Figura 5:Storia della terapia del Mieloma Multiplo
Linfomi
I Linfomi sono tumori causati dalla proliferazione incontrollata di un particolare tipo di globulo bianco: il linfocita. Il linfocita è una cellula essenziale per il nostro sistema immunitario che contribuisce a mantenerci al sicuro da agenti esterni. Se ne riconoscono due tipi che, in base alla localizzazione del loro sviluppo, vengono chiamati B (sviluppo nel midollo osseo) o T (sviluppo nel timo). Per ragioni genetiche (comparsa di mutazioni) i linfociti possono acquisire la capacità di replicarsi in modo incontrollato. Questo permette loro di invadere ed accumularsi nei linfonodi, o in altri organi, generando così il Linfoma. I linfomi possono essere suddivisi in due gruppi: Linfomi di Hodgkin e Linfomi non Hodgkin.
LINFOMA DI HODGKIN (LH)
E’ una forma di tumore che si origina dalle cellule linfoidi normalmente presenti nel sangue, nel midollo osseo, nei linfonodi e in molti altri organi. La massa tumorale non è costituita dall’esclusivo accumulo di cellule patologiche, ma da una moltitudine di cellule infiammatorie normali fra le quali si osserva una piccola quota (2-3%) di cellule malate, dette cellule di Reed – Sternberg o cellule di HodgkinLe cause alla base della malattia sono sconosciute e non sono identificati specifici fattori di rischio. Una possibile eccezione è data dal virus Epstein-Barr che spesso è riscontrato nei pazienti con LH. Per quanto riguarda i fattori ambientali i rischi possono venire dall’esposizione a pesticidi, agenti chimici tossici e radiazioni ionizzanti.
Ogni anno circa 4 persone ogni 100.000 abitanti contraggono un LH che, quindi, è considerato una malattia abbastanza rara. Non bisogna però dimenticare che nell’ambito della popolazione di età compresa fra i 15 e i 35 anni rappresenta una delle più frequenti forme tumorali.
Nella maggior parte dei casi il primo sintomo del linfoma di Hodgkin è il rilevamento, spesso casuale, di linfonodi aumentati di volume al collo, ascelle o inguine. Talvolta i linfonodi interessati si trovano in sedi profonde come il mediastino regione anatomica situata nel torace fra i polmoni) o l’addome; in tali casi possono raggiungere dimensioni considerevoli prima di essere riconosciuti, e possono manifestarsi con segni indiretti come tosse, difficoltà respiratoria o dolore addominale. Gli altri sintomi sintomi possibili sono riportati nella figura sottostante. In presenza di questi sintomi è fondamentale rivolgersi al proprio medico. La diagnosi richiede l’asportazione chirurgica del tessuto patologico (solitamente un linfonodo) e il successivo esame istologico.
Figura 1: Presentazione del linfoma di Hodgkin
Una volta ottenuta la diagnosi istologica è necessario effettuare la stadiazione della malattia. La diagnostica per immagini con ecografie, la tomografia assiale computerizzata (TAC) e soprattutto la tomoscintigrafia a emissione di positroni (PET), è indispensabile per l’esatta definizione delle sedi di malattia. Il trattamento prevede oggi invariabilmente una polichemioterapia, solitamente somministrata in regime ambulatoriale con disagi limitati per il paziente. Lo schema di terapia di riferimento, più diffusamente impiegato nel mondo è l’ABVD, dalle iniziali dei farmaci che lo compongono.
Anche nel Linfoma di Hodgkin esiste una quota, fortunatamente minoritaria, di pazienti in cui la malattia assume caratteri di aggressività e resistenza alle cure. In questi casi vengono in aiuto alcuni innovativi farmaci biologici sviluppati negli ultimi anni.
LINFOMA NON HODGKIN (LNH)
E’ un tumore maligno che origina dai linfociti (B e T), cellule principali del sistema immunitario presenti nel sangue, nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo e midollo osseo. Le cause del LNH non sono ancora del tutto chiare, ma esistono fattori di rischio come l’esposizione a insetticidi, benzene, radiazioni ionizzanti, nonchè agenti chemioterapici impiegati per precedenti tumori. Tra i fattori clinici invece vengono indicati uno stato di immunodepressione, malattie autoimmuni o infezioni virali croniche, come l’epatite C, o infezioni batteriche come quella da Helicobacter Pylori, che rappresenta la prima causa di linfoma primitivo dello stomaco.
In Italia si calcolano 15-18 nuovi casi per 100.000 abitanti ogni anno, rappresentano globalmente il 4-5% delle nuove diagnosi di neoplasia nella popolazione occidentale. L’età mediana di insorgenza è compresa tra i 50 e 60 anni e l’incidenza tende ad incrementare con l’aumentare dell’età
I LNH hanno una variabilità clinica importante. Ad oggi sono identificate più di 40 forme diverse di LNH, ciascuna delle quali è caratterizzata da un peculiare quadro istologico, immunoistochimico e genetico-molecolare a cui segue un diverso andamento clinico-prognostico e quindi uno specifico approccio terapeutico. L’ingrossamento dei linfonodi del collo, ascelle o inguine in assenza di dolore è spesso il più frequente e unico segno di linfoma. Possono essere presenti sintomi sistemici come febbre, sudorazione notturna, perdita di peso e prurito persistente.
La diagnosi di LNH viene fatta esclusivamente attraverso la biopsia di un intero linfonodo o di un campione congruo della massa tumorale. Le tecniche di agoaspirato linfonodale non assicurano l’attendibilità della diagnosi e non sono quindi sufficienti per una corretta caratterizzazione del tumore, che rappresenta la base per il successo delle future cure.
La stadiazione, come per il LH, viene fatta con la TAC e la PET che vengonoutilizzate anche per la rivalutazione della risposta alla terapia.
Storicamente i LNH vengono suddivisi in linfomi indolenti (basso grado di malignità) e linfomi aggressivi (alto grado di malignità). I linfomi indolenti presentano un andamento clinico più lento, che in genere consente una lunga sopravvivenza, calcolata in anni, anche quando non si ottiene l’eradicazione della malattia. In alcuni casi, selezionati in base alla presentazione clinica e all’età, il paziente nella fase iniziale può essere osservato in assenza di terapia (watch and wait) e quindi poi trattato se la malattia presenta una progressione clinica nel tempo. Negli ultimi anni un grosso passo avanti dal punto di vista terapeutico è stato dato dall’utilizzo di anticorpi monoclonali, in particolare diretti contro l’antigene CD20 espresso da tutti i linfomi a cellule B. Questi anticorpi hanno permesso di aumentare l’efficacia del trattamento rispetto alla sola chemioterapia, ma va ricordato però che, sebbene presentino elevate percentuali di remissioni anche con i moderni approcci di terapia, i linfomi tendono a ripresentarsi anche a distanza di diversi anni.
I linfomi aggressivi sono caratterizzati da un rapido decorso clinico e da una minore sopravvivenza ma, se trattati in maniera idonea, possono guarire. La forma più frequente è il linfoma B diffuso a grandi cellule (DLBCL), che rappresenta da solo circa il 40% di tutti i linfomi aggressivi. Diversi studi hanno chiaramente dimostrato anche in queste forme il beneficio della combinazione di chemioterapia convenzionale (CHOP) e anticorpi monoclonali (R-CHOP) sia nel paziente giovane che anziano, con una possibilità di sopravvivenza libera da malattia a 10 anni dalla diagnosi, quindi di guarigione, in circa il 60-70% dei casi. Nella figura c sono riportati le caratteristiche principali delle due presentazioni.
In caso di recidiva il trapianto autologo è considerato, allo stato attuale, la terapia standard del paziente fino a 65 anni di età. Il trapianto da donatore (trapianto allogenico) comporta rischi maggiori, pertanto la decisione sul suo impiego richiede una valutazione molto accurata del paziente e del suo stato di malattia. Il trapianto allogenico risulta più efficace nei linfomi indolenti.
La maggior parte degli studi in corso sono rivolti alla comprensione dei meccanismi biologici della malattia e quindi allo sviluppo di farmaci mirati. Nel prossimo futuro lo sviluppo di associazioni di più farmaci biologici, anche in assenza di farmaci chemioterapici, potrebbero personalizzare sempre più le terapie in base alla caratterizzazione biologica del tumore.
Figura 2: caratteristiche dei Linfomi non hodgkin, aggressivi e indolenti
Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella somministrazione di chemioterapia a intensità sovra-massimale (denominata “condizionamento”) seguita dalla reinfusione delle CSE, raccolte e congelate prima della terapia, dal paziente stesso, che diventa quindi, a differenza del trapianto allogenico, al contempo donatore e ricevente . Il razionale su cui si basa il trapianto autologo di CSE è legato alla spiccata chemiosensibilità di molte neoplasie ematologiche, che hanno la capacità di rispondere e quindi andare incontro a eradicazione, dopo somministrazione di dosaggi elevati di chemioterapia. Tuttavia, la somministrazione di tali dosaggi, pur avendo la capacità di eradicare la malattia, sarebbe gravata da una grave e inaccettabile tossicità sul midollo osseo ematopoietico se non venissero reinfuse le CSE in grado di determinare una rigenerazione del midollo osseo e quindi di superare questo grave effetto collaterale del condizionamento.
Figura 1 Differenza tra trapianto autologo e allogenico
La metodica originale per raccogliere le CSE, note anche come cellule CD34-positive per la presenza sulla loro superficie di questa molecola distintiva, è stata il prelievo di midollo osseo ematopoietico. Il paziente veniva sottoposto a numerose aspirazioni di midollo osseo dalle creste iliache posteriori (generalmente in sala operatoria, in anestesia generale), prelevando un totale di 1-2 litri di sangue contenente midollo osseo ematopoietico. La procedura richiedeva circa due ore per essere completata e il paziente veniva generalmente sottoposto ad 1-2 trasfusioni di emazie concentrate a causa dell’elevata quantità di sangue prelevata. Già dai primi anni ’90 è stata introdotta un’altra modalità di raccolta delle CSE, che progressivamente ha sostituito, fino a prevalere quasi completamente, quella tradizionale: la raccolta delle CSE dal sangue venoso periferico.
Figura 2: Il prelievo di midollo osseo
Sebbene in condizioni normali le CSE CD34-positive siano presenti nel sangue venoso periferico in piccolissime quantità, dopo somministrazione di fattori di crescita granulocitari associata o meno a chemioterapia con alcuni farmaci così detti “mobilizzanti”, il numero di queste cellule nel sangue periferico aumenta enormemente (fenomeno della “mobilizzazione”). A questo punto le CSE da sangue periferico vengono raccolte mediante un separatore cellulare in grado di separare dagli altri elementi ematici una frazione di cellule mononucleate contenenti le CSE, grazie alla presenza del loro “marcatore” CD34. Una procedura standard prevede che vengano processati 10-15 litri di sangue intero in un tempo di 3-5 ore valutando, al termine, la conta cellulare e le cellule CD34-positive. La quantità di CSE CD34-positive da raccogliere dipende dal numero di trapianti che si intendono effettuare, dall’intensità della chemioterapia di condizionamento e dalla patologia per la quale si effettua il trapianto. Generalmente, al fine di assicurare al paziente un’adeguata ricostituzione midollare rapida, è necessario reinfondere un numero di CSE CD34-positive pari a 2-5 x 106/kg che si traduce, in un uomo di 75 Kg, in circa 150.000.000 di CSE. Malgrado i progressi ottenuti nella mobilizzazione rimane ancora oggi una piccola quota di pazienti (fra il 10 e il 15%) che non riescono a raccogliere un numero adeguato di CSE noti come “cattivi mobilizzatori”.
Una volta raccolte, le CSE devono essere conservate in maniera adeguata al fine di evitarne il deterioramento, cioè criopreservate a temperature variabili tra -80 e -196°C. Per permettere alle CSE di sopravvivere a queste temperature è necessario proteggerle diluendole in un agente “crioprotettivo”. Il più utilizzato è il DMSO (Dimetilsulfossido) che alla concentrazione del 10% del volume della sospensione cellulare garantisce una buona conservazione delle cellule staminali e un effetto tossico contenuto nei pazienti sottoposti a reinfusione. Le CSE correttamente criopreservate in appositi contenitori, possono essere utilizzate dopo scongelamento e rimangono integre e vitali anche per lunghi periodi (fino a 10-15 anni).
Al momento del trapianto il paziente viene ricoverato e sottoposto alla terapia di condizionamento, al termine della quale, dopo un tempo sufficiente per eliminare dal circolo ematico i metaboliti dei farmaci somministrati, le sacche di CSE devono essere scongelate e reinfuse al paziente attraverso un catetere venoso centrale. Il processo di scongelamento avviene immergendo la sacca in un bagno termostatico in cui l’acqua distillata è mantenuta a 37°C. La reinfusione delle CSE deve avvenire in un tempo rapido per evitare che il DMSO contenuto nelle sacche possa danneggiare le CSE. Le problematiche relative all’infusione sono correlate agli effetti tossici del DMSO contenuto nelle sacche. Nella maggior parte dei casi il paziente avvertirà delle vampate di calore, nausea, secchezza delle fauci e un “cattivo” sapore, più raramente si possono riscontrare brivido, febbre, insufficienza respiratoria, abbassamento dei valori pressori, molto raramente fino allo shock.
La somministrazione della terapia di condizionamento comporta la cosiddetta “fase di aplasia”, cioè determina una drastica riduzione del valore dei globuli bianchi, delle piastrine e dell’emoglobina, che espone il paziente a un elevato rischio di infezioni ed emorragie. La durata della fase di aplasia midollare è variabile e dipende dall’intensità del condizionamento, dal numero di CSE infuse e dallo stato della malattia al trapianto. Alla fase di aplasia segue il cosiddetto “attecchimento”, cioè la fase di recupero ematologico con salita dei valori dei globuli bianchi e delle piastrine, che si verifica generalmente dopo 10-15 giorni dal trapianto. Dopo la dimissione la ripresa midollare e periferica continua e sono generalmente necessari 6 mesi o più per avere una completa ricostituzione immunitaria.
Il trapianto autologo è oggi una procedura relativamente sicura se eseguita in centri specializzati. Il miglioramento della terapia di supporto e della conoscenza dei principali effetti collaterali dei regimi di condizionamento, ha permesso negli ultimi anni di ridurre notevolmente le complicanze annullando quasi la mortalità legata alla procedura.
Le principali indicazioni per il trapianto autologo di CSE in ematologia sono il Mieloma Multiplo e i Linfomi di Hodgkin e Non-Hodgkin. L’età limite fino a cui è possibile venire sottoposti a tale procedura è cambiata con il miglioramento delle terapie di supporto e la minore tossicità dei farmaci usati durante le varie fasi della patologia. Se negli anni ’80 si riteneva non etico autotrapiantare oltre i 50 anni, oggi un paziente di 70 anni in condizioni cliniche buone può essere avviato a tale procedura senza un incremento significativo della tossicità e del rischio di morte. Tuttavia, al fine di limitare al massimo la tossicità e di effettuare il trapianto in regime di sicurezza, è necessario studiare molto attentamente il paziente prima del trapianto mediante lo “screening pre-trapianto”, con lo scopo di valutare bene che non vi siano delle condizioni cliniche tali da controindicare l’esecuzione del trapianto stesso.
Figura 3: contenitori per conservare le CSE
Figura 4: il trapianto autologo